Caro dottore sono un ragazzo, anzi ormai un uomo, di 38 anni, lavoro come impiegato nella filiale di una multinazionale con sede in Toscana. Devo dire senza modestia, anche a detta delle persone che mi circondano, di essere decisamente attraente e ciò mi ha portato, in questi anni, a collezionare numerose avventure con il gentil sesso. Ne ho ricavato notevole soddisfazione, anche se sono state tutte storie senza alcuna implicazione sentimentale; d’altra parte non sono mai stato molto ambizioso a livello lavorativo e anche il mio curriculum di studi non è stato certo brillante. Voglio ammettere, tuttavia, che le mie relazioni mi hanno ampiamente ricompensato di queste insoddisfazioni. Credo, cioè, che i miei successi femminili mi abbiano sottratto tempo ed energia da dedicare ad altri obiettivi, diciamo che, nel campo professionale, mi sono sempre accontentato senza sforzarmi troppo. Vengo al punto. Qualche mese fa ho trovato la cosiddetta ”ragazza giusta”, non particolarmente appariscente ma solida, affidabile, sulla trentina, ben realizzata a livello lavorativo. Credo di non esserne mai stato innamorato , cioè di non aver mai “perso la testa”per lei, cosa d’altra parte che, in vita mia, non è mai successa. Devo dire però che la stimo, mi sembra diversa dalle altre e credo di nutrire per lei un affetto sincero. Il problema insorto tra di noi è di tipo sessuale e in tutta franchezza credo dipenda da me. Ho cominciato ad avere disagi che precedentemente non si erano mai presentati. Io per primo sono rimasto sorpreso, a volte l’erezione è stentata, in altri casi il rapporto è velocissimo, molto spesso, alla fine, ho una sensazione di inappagamento e di vuoto. Questa, ai miei occhi, avrebbe dovuto essere la scelta definitiva, ma il discorso del sesso complica dannatamente le cose. Qualche giorno fa, per mettermi alla prova, sono stato a letto con una mia ex, e tutto ha funzionato a meraviglia; in questi giorni ho riflettuto e sono arrivato alla conclusione che possa essere il sentimento a complicare tutto perché, se non sono coinvolto affettivamente, sento di potermi scaricare sessuamente senza remore e non provo alcuna ansia prestazionale. Credo di aver bisogno di una mano perché questa situazione mi sta creando non pochi problemi anche a livello sintomatologico, ho cominciato a soffrire di un’ ansia che durante la giornata non mi concedeva tregua. Il medico curante, allora, mi ha prescritto ansiolitici, che mi hanno dato una certa forma di sollievo ma, d’altra parte, non voglio diventarne schiavo alla mia età e non mi sembra il modo adeguato di affrontare il problema. Mi chiedo cosa ci sia sotto, l’affetto non dovrebbe ostacolare l’appagamento erotico, no? La saluto cordialmente.
Devo invece dirle che può succedere proprio così. Una caratteristica tipica del maschio, anche se si presenta in modo più o meno marcato ( si ritrova decisamente con minor frequenza nella donna), è la scissione tra componente erotica e affettiva dell’eros, per cui può verificarsi, nella relazione con l´altra, che egli possa godere pienamente la componente più esplicitamente sessuale quando non è coinvolto, e di sentirsi invece come frenato quando l’interesse è diretto a donne che stima e verso le quali nutre affetto. Nella donna sembra esserci una tendenza maggiore invece a fondere le due correnti e questo sembra essere anche relazionabile alle modalità con cui si svolge la fase edipica nei due sessi che, nel caso del maschio, ha una chiusura più netta, nella femmina più sfumata. L’uomo può avere la tendenza, cioè, a scindere la componente erotica da quella affettiva perché si difende da fantasmi incestuosi nei confronti della madre, liberando l’eros quando non è coinvolto affettivamente e viceversa, essendo forte il divieto paterno mentre nella femmina esiste una maggiore permissività della madre a concederle la possibilità di viversi l’amore per il padre. Questo,ovviamente, tende a verificarsi seguendo modalità che sono molto diversificate nei vari soggetti, date le differenti caratteristiche con cui si organizza il complesso edipico. Oggi, tuttavia, abbiamo fatto esperienza di come un ruolo importantissimo,a riguardo, possa essere svolto anche dal rapporto diretto che il figlio ha con la madre, prima della comparsa sulla scena della figura paterna,cioè fin dai primissimi momenti della esistenza e di come il bambino si confronti con il problema della pulsione aggressiva verso la nutrice in un modo più complesso rispetto alla femmina, sia perché tale pulsione nel maschio è più forte per motivi biologici, sia perché per individuarsi a livello di identità di genere, deve staccarsi, cioè disidentificarsi categoricamente dalla figura femminile, cosa che la bambina non deve fare. Ovviamente, soltanto facendo luce sugli eventi della prima infanzia sarà possibile ricostruire nel soggetto quali forze e istanze abbiano avuto un ruolo significativo nel determinare la situazione in essere. Al momento è consigliabile non prendere decisioni definitive, per quanto riguarda la relazione, ed effettuare un trattamento ipnoterapeutico medio – lungo (10 sedute) o una tecnica di “sogno allo stato di veglia”. Questo allo scopo di creare un cuscinetto tra sé e gli eventi, che, in questo momento, le creano stress. Sarebbe opportuno far seguire, poi, un lavoro di comprensione profonda, se le caratteristiche psicologiche del soggetto e la sua volontà lo consentono, oppure effettuare una terapia supportiva da svolgere prendendo in esame le situazioni di difficoltà più immediate, per fornire un aiuto su un piano di realtà.