Sono una donna sfortunata, credo di essere come impastata dall’ansia che non mi abbandona mai anche se mi sembra che a volte questo temperamento mi abbia aiutata nel fare nell’organizzare la mia vita nel perseguire freneticamente le mie ambizioni, ora che ho 50 anni e la vita non mi offre più tante possibilità di fare, organizzare mi sento come un motore che gira a vuoto. Il marito ha ridotto progressivamente i suoi desideri , i figli ormai grandi non hanno più bisogno di me e io ormai vicina alla menopausa ( anche quella quando ci sarà mi sa che sarà un dramma). Il medico mi ha prescritto i famosi serotoninergici che mi fanno stare un po’ meglio , dormo meglio la notte e di giorno mi sembra di essere meno affannata ma mi chiedo se questa sia una angoscia , diciamo così normale oppure sono io che sono sbagliata a prendermela tanto con le cose?
Cara signora sarebbe stato molto interessante conoscere anche qualcosa del suo passato e dei primi anni del suo percorso esistenziale per comprendere meglio la sua psiche, comunque la problematica di cui lei mi parla è molto complessa perché in questo caso viene ad essere interessato il tema dell’angoscia esistenziale, se cioè in noi esista un fondo costitutivo di ansia che scaturisce non tanto da una conflittualità nevrotica e perciò, in quanto tale, riducibile, ma da uno “zoccolo duro” un dosaggio ineliminabile che concerne il nostro status di esseri mortali che vedono progressivamente svanire la loro vitalità giorno per giorno e che sono smarriti di fronte ad una vita che non offre loro né senso né significato. Io credo che, se non siamo baciati da una fede che ci promette che la vera vita sarà quella futura e che i dolori della esistenza sono dovuti ad una colpa e che hanno perciò un valore espiativo, la nostra spinta vitale possa solo venirci da un” carpe diem” quotidiano in cui la mattina, quando apriamo gli occhi, possiamo sentirci felici di esistere e di ciò che abbiamo senza aspirare a soddisfare fantasie e idee onnipotenti Tale rinuncia ci darà la possibilità di comprendere bene , come dicevano gli antichi Greci ,quella che è la nostra soggettività , il nostro” daimon” il che che ci porterà alla ”eudaimonia” che si potrebbe tradurre con felicità anche se la sentirei più propriamente come serenità. Credo che una solida filosofia di vita possa essere più efficace ,in una situazione come la sua, dei farmaci serotoninergici e penso inoltre che potrebbe esserle di aiuto un percorso psicoanalitico da intraprendere non tanto con fini terapeutici quanto conoscitivi , il quale, , portando alla luce le dinamiche inconsce le permetta di venire a contatto con i vari mattoni del suo edificio psichico, consentendole di scoprire la consequenzialità degli eventi e degli oggetti che hanno contrassegnato la sua vicenda esistenziale. La saluto cordialmente.