Da qualche giorno sono entrata in un’angoscia che non mi fa più dormire né mangiare. Un amico di mio figlio, di circa 16 anni circa due mesi fa ha avuto un raptus, credo si chiami così, e ha ferito gravemente la madre con un coltello dopo una violenta discussione. Sono rimasta sconvolta, le poche volte che l’ho visto mi sembrava un ragazzo mite, gentile, non so se fumava qualche spinello, ma sicuramente non roba pesante. Anche mio figlio è rimasto scioccato e si è chiuso in un silenzio preoccupante. Mi chiedo come sia stato possibile. All’improvviso possiamo diventare dei mostri capaci di uccidere?
Quando si verificano episodi di violenza, che a volte diventano casi di cronaca eclatanti, il quesito che ci poniamo è sempre questo, cioè se a compiere questi atti sono individui psichicamente compromessi, oppure se sono situazioni in cui può incorrere chiunque di noi in particolari momenti. E’ necessario però,prima,fare una breve disamina del funzionamento psichico. Ciò che sembra assodata è l’esistenza, a livello pulsionale, di una componente aggressiva sulla quale si può discutere quanto sia genetica o ambientale. La libido aggressiva o pulsione di morte, (se la vogliamo connotare biologicamente) ha le stesse caratteristiche della pulsione sessuale, tende cioè anch´essa all´appagamento e può scaricarsi sul soggetto o sugli oggetti circostanti. Nietsche dice ” Si è stati cattivi spettatori della vita, se non si è vista anche la mano che delicatamente uccide”,per sottolineare come la nostra psiche sia intrisa anche di violenza.Nella per¬sona dotata di un buon livello di maturità dovrebbe aver minor diritto di cittadinanza a livello psichico, rispetto a quella sessuale, però il problema è complesso in quanto non si tratta solo di un problema di dosaggio maggiore o minore, cioè di un fattore quantitativo (o economico, per usare una espres¬sione di Freud), ma delle modalità distributive con cui la pulsione stessa viene gestita, all´interno della intera economia psichica, dall´io dell´individuo. Tutta la psicopatologia inoltre ha le sue radici fondanti in una violenza che l´individuo non riesce ad elaborare, a sublimare o a deviare all´esterno dei proprio sé. La pulsione di morte, cioè l´aggressività, può essere, infatti, come dicevamo, diretta verso l´esterno ma anche dirigersi sul soggetto. Tale violenza cioè, se viene autodiretta, può dare origine alle più svariate forme di disturbo psichico, da quelle legate al comportamento alimentare come bulimia e anoressia, all´alcolismo, al tabagismo, alle varie forme di tossicodipendenza, ai disturbi ossessivi, alle fobie, al panico, alla depressione, alle sindromi psicosomatiche fino a presentarsi in modo massimale e conclamato nelle psicosi e nell’atto suicidiario. Non dimentichiamoci, poi, come la autoaggressività possa presentarsi anche in situazioni in cui il soggetto ha un bisogno inconscio di mantenersi in posizioni sociali inferiori, tende a incorrere nell´insuccesso, dimostrandosi incapace di gestire un evento a lui favorevole o ha la necessità di compiere di continuo azioni che lo svalorizzano fino a procurarsi gravi infortuni (es. incidenti inconsciamente provocati). Questa dialettica psichica dell´aggressività diretta verso l´esterno, o riflessa all´interno del sé, viene definita da Freud con il binomio «sadismo-masochismo morale». Freud, infatti, distingue queste due tendenze dalle omologhe che si presentano sul piano sessuale, caratterizzando le perversioni. Tuttavia vuole conservare una analogia terminologica per sottolineare il piacere che accompagna la violenza portata all´esterno o riflessa sul soggetto stesso: in lui,quindi, l´aggressività non ha mai perso la connotazione di pulsione cioè di una forza biologica che è connaturata alla psiche, anche se sottolinea come essa possa essere altresi conseguenza di dinamiche ambientali cioè reattiva a frustrazioni infantili. Degli epigoni freudiani alcuni, come Melanie Klein, danno alla violenza un connotato decisamente biologico pulsionale, affermando che il neonato si trova a contatto con essa fin dai primi momenti della sua esistenza e descrive i suoi tentativi di portarla fuori di sé mediante complessi meccanismi psicologici (scissione, introiezione, proiezione, identificazione proiettiva, identificazione nel persecutore, disintegrazione dell´io) che caratterizzano la cosiddetta «posizione schizo paranoide». Altri, come i portavoce della scuola culturalista americana (Karen Horney, Erich Fromm e H.S. Sullivan), sostengono che l´uomo non è così determinato dagli istinti, ma che essi sono modificabili e dipendono dall´ambiente culturale in cui vive. Jung sottolinea invece come l´uomo sia soggetto non solo a forze inconsce strettamente inerenti al suo psichismo, ma anche a istanze derivanti da un inconscio collettivo cioè transpersonale che è «il deposito di tutta l´esperienza ancestrale che comprende milioni di anni, a cui ogni secolo aggiunge una quantità di variazioni e differenziazioni: esso si esprime attraverso simboli dotati di senso definiti «archetipi», le cui rappresentazioni si trovano nella mitologia, nelle religioni, nelle tracce della preistoria». Adler, infine, parla di una «volontà di potenza», motore che ci spinge a compiere tutti gli atti della nostra vita, una forza competitiva che ha lo scopo di combattere e annullare i sentimenti di inferiorità che sono universali, dato che ogni bambino si sente inferiore, ma che possono essere esacerbati da eventi infantili particolari come anomalie fisiche, malattie, traumi significativi etc.. Ora, dopo questa digressione, torno più direttamente alla domanda che lei mi ha posto e allora il quesito fondamentale è come sia possibile che, in alcuni individui, esista il passaggio all’atto, cioè un acting-out dei loro istinti, una fuoriuscita della violenza in modo così distruttivo e incontrollato: tiriamo allora in ballo la debolezza del loro io che non è in grado di arginare la pulsione aggressiva scaricandola perciò così violentemente e distruttivamente a livello motorio e dando luogo all’atto criminoso. Bisogna aggiungere che è possibile pensare che questo break dell’io possa essere sì connotato strutturalmente in alcuni soggetti, ma che può avere anche le caratteristiche di uno stato mentale contingente che, in particolari momenti, può interessare e predare qualunque soggetto. Ovviamente questo non è affatto tranquillizzante ed ecco perché , quando avvengono episodi criminosi, tendiamo ad etichettare il colpevole dicendo che lo ha fatto perché era depresso o psicopatico, o cercando le motivazioni più svariate, mentre in quel momento, siamo preda della nostra fragilità, e la nostra angoscia ci spinge alla ricerca di una rassicurazione che un evento di quel tipo a noi non capiterà mai.