Non so se sono davvero depresso. In realtà nella mia vita , se guardo freddamente,non manca niente, per quanto riguarda lavoro, famiglia e tutto quello che le viene in mente. C’è però un “ma” e precisamente sento dentro di me una specie di inappagamento, di incompiutezza, come voler essere altrove. La mattina, quando mi alzo e mi viene in mente la mia giornata già programmata sento che vorrei come essere un altro o in un altro paese, mi vengono in mente tutte le esperienze che un soggetto potrebbe fare e mi chiedo perché debba fare i conti con la mia limitatezza.Mi dico che dovrei pormi altri traguardi, altri obiettivi Poi, nei momenti di calma, ci rifletto e mi rendo conto che sono pensieri un po’ folli come se volessi essere contemporaneamente più persone o avere il dono della plurilocazione. Mi dico razionalmente che sono quello che sono, che vivo quel tipo di vita che non ha alternative, che è la mia e che va bene così Ma spesso sento che il vivere mi pesa e mi viene la smania. Lei cosa ne pensa?
Credo non si tratti di un problema di depressione, lei non fa cenno a sentimenti di colpa o svalutativi o a niente altro che possa orientarci in quella direzione nosografica. D’altra parte come lei sa ogni aspirazione tassonomica è per me limitativa e perciò cercherò di entrare meglio nella comprensione di quelli che mi sembrano possano essere riscontrate come dinamiche concernenti il suo psichismo. Sembra di capire che in lei possa esistere una onnipotenza derivante da un io- ideale esuberante che non le consente facilmente di reperire entro di sé il concetto di “limite”. Questo è un problema molto attuale nella società per cui gli individui tendono ad entrare in contatto con modelli di funzionamento in cui ogni iniziativa è parametrata dal successo che può avere e non viene percepita come frutto della propria identità e individualità. Quindi, di conseguenza solo il riconoscimento sociale e non la verifica di adeguatezza intrapsichica è in grado di dare soddisfazione. Ora poiché la brama di riconoscimento esterno è effimero, vi è la necessità di approvazioni continuative secondo un modello di inesauribilità che smaschera prepotentemente il vuoto identitario. Il soggetto, come nel suo caso,sente che potrebbe essere qualsiasi persona in qualsiasi luogo, proprio perché è il contenitore della propria individualità e specificità a vacillare.I codici morali nell’attuale vivere sociale stanno collassando perché la nostra è una società senza figure paterne.Certo, oggi si legge che i padri sono molto più presenti nella vita dei figli, ma, essendo essi stessi vittime di un vuoto identitario, lo sono come compagni, come amici, incapaci di somministrare ai bambini e ai ragazzi quelle frustrazioni che creano nella psiche del futuro adulto il senso del limite. Tutto perciò è consentito perché le strutture di controllo superegoico sono indebolite e vi è una ricerca continua dell’onnipotenza che,quando non arriva, fa scontrare il soggetto con la propria nullità esistenziale.Da ciò consegue come,nel momento attuale l’apparire sia molto più importante dell’essere, dato che l’essere si forma attorno ad un solido e stabile nucleo identitario intrapsichico, che purtroppo è latente, l’apparire è frutto della spasmodica ricerca dell’assenso sociale ed emblema di instabilità del sé, che è in balia di eventi che, se in certi momenti possono innalzarci ,in altri sono in grado di gettarci nella depressione e nel vuoto esistenziale. Finirò dicendole quanto ci possano essere di grande aiuto gli antichi greci con il loro concetto di “aretè” (la “virtus” latina) che sostenevano che nella vita è importante lottare combattere, anche eccellere però vivendo e conoscendo il proprio limite (katà mètron), cioè con atteggiamento di saggezza (phrònesis) e soprattutto conoscendo se stessi (Gnothi seautòn) come vediamo riportato nella epigrafe del tempio di Delfi.