Caro dottore, ho due figli un maschio e una femmina di 20 anni l’uno,16 l’altra Quando guardo i loro atteggiamenti, come si vestono e sento cosa dicono, mi viene lo scoramento e penso di aver sbagliato tutto, poi vedo i loro amici e mi accorgo che non sono così diversi. Cosa è successo a questa generazione , noi non eravamo così, mi sembra che oggi manchi loro qualsiasi punto di riferimento…
Credo che oggi l´essere umano sia profondamente permeato da una crisi valoriale nella sua ricerca del senso: in altri termini si può pensare che la incapacità dell´ uomo, in questo momento storico critico, di dare una risposta alla domanda sul significato della esistenza, comporti una impossibilità di trasmettere un codice, di comunicare idee e valori condivisi:il malessere dei giovani, cioè, non rappresenterebbe altro che il terminale di questo disagio, il suo disvelarsi pienamente. La mente dell´ individuo è infatti profondamente permeaibile agli input a cui è esposta fin dai primissimi momenti della esistenza e probabilmente già nel grembo materno. Anche se è indubbio che tale influenzabilità e plasmabilità decrescono parallelamente allo sviluppo mentale con l´adultizzarsi del pensiero, studi recenti nel campo neurobiologico di Jay Giedd hanno rivendicato l´ importanza dell´ambiente nella definizione della identità della persona cioè del completamento del suo assetto neuronale proprio nel periodo adolescenziale, quando si assiste ad un progressivo “decrement” dell´influsso familiare a favore di quello socio-culturale: egli ha mostrato,con tecniche di “neuro-imaging”, come la struttura cerebrale, e, soprattutto la corteccia prefrontale,l´area cerebrale del “ripensamento assennato”, arrivi ad una definizione della sua architettura con cambiamenti e rimaneggiamenti che durano fino ai venti anni di età. Se prendiamo in esame le figure genitoriali, assistiamo, nella attuale situazione culturale, a una tendenza della immagine paterna a farsi latitante: il padre, a cui è delegato il compito di modulare il rapporto del figlio con la realtà, è colui che è investito più direttamente, cioè in modo più emblematico e rappresentativo, di quella atmosfera nichilista-relativista che oggi sembra prevalere nei rapporti dell´ essere con il mondo : sarebbe delegata proprio a lui la funzione basilare di regolare e discrezionalizzare il passaggio del giovane dalla onnipotenza simbiotica materna alle esigenze del mondo concreto, segnalando al figlio l´esistenza e la dimensione di ciò che gli è consentito dal codice sociale. La “imago” paterna sembra oggi inidonea a tale mansione: non ha più le sembianze di una rappresentazione autorevole, pregna di idee ed ideali consolidati, capace di contenere le pulsioni giovanili straripanti,ma il compagno, il fratello smarrito dei suoi figli, inidoneo ad arginare la esuberanza delle loro richieste, inabilitato a somministrare frustrazioni, non sapendo in nome di che cosa esse devono essere inflitte, affannato alla ricerca di un alibi che assolva la sua assenza,imperniato sui ” sacrifici iperlavorativi” per il ” bene ” della famiglia: si riduce così il tempo di esposizione al contatto filiale, etichettando il tutto in nome di una qualità relazionale che sopperisca ad una quantità insufficiente : é invece proprio una presenza significativamente costante ad essere determinante in modo decisivo nel depositare nella mente del giovane rappresentazioni genitoriali, magari “difettose”, ma realistiche e nell´ evitare le conseguenze perniciose di carenze relazionali, cosi favorevoli allo sviluppo di immagini parentali idealizzate e distorte. Il giovane, quindi, influenzato da una simbiosi materna ancora irrisolta alla quale il padre non agisce da contrappeso, non è attrezzato a conoscere il proprio limite(“chi non conosce il proprio limite tema il suo destino”dice Aristotele),è continuamente sollecitato a superarlo, a mettersi in gioco per spostarlo sempre più in avanti. In altri termini, nel rapporto tra individuo e società, ogni iniziativa, progetto e motivazione non trovano più la loro accettabilità e il loro limite nell´adeguamento al codice culturale ma vengono asservite al parametro della massima efficienza e del successo. Non vi è più posto in lui per il senso di colpa, che rappresenta il freno alla tentazione del superamento dell´ etica , dapprima ad espressività individuale, poi sociale, ma soltanto la percezione di un sè che rischia di mostrarsi inadeguato o insufficiente rispetto a ciò che “potrebbe fare”, percependosi come un individuo il cui unico limite è rappresentato dalle proprie capacità. Alcuni autori hanno messo in relazione lo smisurato aumento di psicofarmaci al tentativo dell´ essere umano di robottizzare la propria psiche,eliminando , o perlomeno riducendo la percezione del vacuum e della angoscia per la propria mortalità, del senso di inutilità del vivere creando stati mentali di esaltazione ed accelerazione psichica durante le ore lavorative con farmaci attivanti ,in genere serotoninergici,smorzati e anestetizzati spesso da rilassanti ,in genere benzodiazepine,in quelle poche ore dedicate al riposo notturno che deve essere scevro di ansie affinchè, il giorno seguente, possa essere ripristinato il ritmo lavorativo con rinnovato vigore, cioè non indebolito nè inquinato da problematiche di stanchezza per un riposo non adeguato. Ovvio poi riscontrare come una macchina iperlavorativa così efficiente possa scoprirsi e trovarsi inceppata e smarrita nei periodi obbligatoriamente destinati al riposo. Si deve poter cambiare il ritmo, riscoprire e ascoltare l´elogio della lentezza, le sirene della inattività, e spesso sono il vuoto e la noia la conseguenza di questa incapacità oppure già si rinuncia aprioristicamente a questo cambiamento opzionando scelte di un tempo libero in cui continuino a essere premiate efficienza, sfida, competizione ricerca del limite. Il tutto ha come conseguenza un inaridimento della vita interiore, una desertificazione emozionale,una omogeneizzazione alle norme di socializzazione a cui fanno più comodo automi depersonalizzati che soggetti capaci di percepire il proprio essere e di riflettere sulle contraddizioni,sulle ferite della vita e sulle fatiche esistenziali. Certamente,in questa disamina, non vogliamo trascurare altri elementi che hanno una importanza strategica assoluta, in primis il ruolo della donna, così problematico in questo momento storico, dibattuto come è tra la voce biologica che la spinge verso la assunzione di una dimensione materna e la aspirazione sociale, che la sollecita a forme di realizzazione lavorativa in modo sempre più marcato e pressante: diviene così lei stessa terreno di conflittualità , invischiata in questa forbice di ambiguità .Osserveremo allora che , in alcuni casi subirà il fascino di enfatizzare la dimensione sociale lasciando inevasa per il figlio la possibilità di vivere una imago materna adeguata ed esponendolo così a varie patologie carenziali ; in altri casi, sfogando le frustrazioni derivanti dal confinamento al puro ambito domestico sarà tentata di esasperare la relazione simbiotica impedendo al giovane di accedere ad una propria autonomizzazione. D´ altra parte, se noi estendiamo il nostro sguardo ai supporti o alle strutture sociali che dovrebbero agire in senso integrativo e maturativo, notiamo spesso che, nel caso dei bambini, le istituzioni per l´ infanzia, oltre a scarseggiare, sono visualizzate dai genitori più come strutture di assistenza e sorveglianza che pedagogiche e formative e che le stesse baby-sitters, a volte assolutamente inidonee a livello linguistico ,svolgono più il ruolo di badanti che di interlocutrici attive. Nel crescere,poi, l´ individuo si trova a contatto con una istituzione scolastica che dovrebbe essere un sede elettiva per capire le aspirazioni dei ragazzi, per accompagnare loro “disposizioni”. Notiamo invece come sia spesso un luogo dove si danno informazioni e non si crea formazione, ignorante delle loro esigenze specifiche e dei loro bisogni umani e per-altro anche insufficiente alla produttività ed efficienza lavorativa: una indagine presentata nel corso di un convegno della Fond. Debenedetti,un sondaggio effettuato su un campione di 550 diplomati e laureati, ha evidenziato che quasi il 70% è convinto di non aver ottenuto dalla scuola o dalla università competenze utili per svolgere il proprio lavoro ( Italia penultima in Europa per gradimento del sistema scolastico). Cosa vogliamo dire poi del tempo extrascolastico, cannibalizzato così intensamente dai mass-media? I giovani ,abituati ormai a ridurre la loro socialità e ad esserne quasi totalmente assorbiti, si trovano esposti non più ad un mondo reale sul cui palcoscenico recitare come attori protagonisti, ma ad un mondo raccontato di cui sono solo spettatori. I media, schiavi dell´ audience , tesi a monetizzare ogni spazio pubblicitario al massimo livello di profitto, propinano ai ragazzi immagini a presa rapida, fabbricando idoli la cui ascesa è tanto rapida quanto il loro eclissarsi, modelli corporei plastificati e manipolati chirurgicamente: il tutto si agita su sfondi di realities o soap operas, ove vuoti chiacchericci si alternano ad esibizione di sentimenti artificiali, invettive sguaiate e cialtronesche a manifestazioni pubbliche di moti dell´animo che dovrebbero essere riservati ad un privato intimamente e sinceramente vissuto: il pacchetto viene offerto in pasto ad un teleutente che vuole essere terreno di emozioni intense e primitive capaci di farlo rifuggire da una quotidianità greve e insopportabile. I media devono catturare il desiderio del giovane o meglio del consumatore,agganciare alla soddisfazione del desiderio un protocollo di identità (se ho le cose e le possibilità che hanno tutti non sono un emarginato). L´eccesso di libertà e disponibilità di beni, di sesso, di tempo,quando si accompagnano a ridotte capacità di contenimento, genera insoddisfazione, depressione, angoscia. Gli adolescenti delle società povere erano depressi per le scarse possibilità, ma avevano come obiettivo la emancipazione dai genitori e la ricerca dei mezzi di sussistenza per costruire una propria autonomia che si verificava molto precocemente rispetto ai tempi attuali essendo tenuto ben fermo come obiettivo essenziale. Oggi assistiamo ad una adolescenza molto prolungata e le angosce nonsono reali, cioè dovute ad una carenza di beni ma di natura psicogena, per mancanza di un progetto ,di una direzione con il conseguente rifugio prolungato sotto l´ala protettrice della famiglia. Spero di averle chiarito, almeno in parte le sue perplessità e aggiungo soltanto che questa incomunicabilità generazionale è sempre esistita con forme e modalità diverse a seconda dei momenti storici