Caro dottore le scrivo perché, ,arrivato ad un età di mezzo, comincio a pormi dei problemi su chi sia veramente. Professionalmente sono ben inquadrato e stimato e, in famiglia, sembrerebbe tutto o.k. Però è come se durante la giornata vivessero molte sfaccettature della mia personalità, al punto tale che mi chiedo quale sia la mia vera identità. La mattina, quando vado a lavorare prendo energetici, nulla di particolare, per carità, il ginseng , non pochi caffè e dosi basse di serotoninergici, in modo tale da avere un buon livello di stimolazione.Così ho la impressione di poter superare fobie sociali, incertezze lavorative, sensazione di vuoto e quanto altro. Mi sento brillante, guardo dall’alto in basso la massa sonnacchiosa e occupata da piccoli banali problemi quotidiani, il che mi dà un senso di superiorità. La sera, quando torno a casa, ho esaurito le batterie e mi metto a fare un pò di meditazione per distaccarmi dai problemi della quotidianità e assumo anche prodotti anti-stress. Ai figli credo di voler bene, però,le dico la verità, a volte mi infastidiscono con le loro richieste ed esigenze, così delego il tutto a mia moglie che peraltro è già carica per conto suo. D’altra parte sul loro comportamento scolastico e di adeguatezza sociale non ci sono pecche o incrinature.Quanto al far l´amore far l’amore con lei mi sono abituato a programmarlo il sabato sera e, ogni tanto,ricorro ai noti stimolanti sessuali, anzi ,ultimamente con una certa costanza. Però non ci sono altre donne nella mia esistenza e anche la nostra vita sociale è soddisfacente. Per dormire bene tuttavia ricorro alle benzodiazepine, anche se a dosaggi modesti : prima lo facevo saltuariamente, ora puntualmente. Dall’esterno sembro una macchina perfetta. Allora, io non ho sintomi, anzi sono abbastanza soddisfatto di me stesso, ma i problemi che mi pongo sono fondamentalmente due. Il primo è che mi sento dipendente da tutto ciò che quotidianamente assumo e il secondo che non capisco quale sia la mia vera identità, cioè se sia quella performante ed eccitata, a volte aggressiva, dell’attività lavorativa o quella pacata della dimensione familiare e sociale e infine il mio ultimo interrogativo è quanto farmaci e similari agiscono sulle varie parti di me.Scusi se l’ho tediata, ma vorrei che mi illuminasse a riguardo.
Il problema di cui lei parla è molto interessante e attuale . Lei non ha sintomi nevrotici e la sua macchina psichica funziona, ma, da persona intelligente quale è, si pone degli interrogativi profondi riguardanti il suo vero sé. Per quanto riguarda il concetto di identità e la sua formazione potrebbe esserle utile quanto ho scritto nel mio link dedicato specificamente al problema. Lei rappresenta l’emblema dell’individuo la cui funzionalità sembra espressione adeguata di quanto viene richiesto socialmente:buona performance lavorativa, una famiglia apparentemente ben funzionante,valenze relazionali monogamiche,in apparenza tutto è ben strutturato anche se supportato da una farmacologia peraltro oggettivamente modesta anche se simbolicamente per lei assolutamente non trascurabile. Sente, però, che qualcosa non va, che la sua funzionalità va a discapito dell’essere e allora sorgono in lei domande e nascono perplessità sul “senso dell’esistenza” e su quale sia la sua vera identità, aldilà degli automatismi performativi raggiunti, anche, come dicevo prima,attraverso l´uso di sostanze che le permettono un adeguamento ottimale alla situazione che sta vivendo, lavorativa,di stacco dal lavoro o sessuale. Nel momento della riflessione lei respinge il suo essere robottizzato e diventa portatore di un potenziale eversivo del buon adeguamento sociale. Nella mia conferenza sul “disagio giovanile”, lei troverà trattata proprio questa tematica, che non coinvolge ovviamente solo i giovani ma che è estendibile ad ogni essere umano nel suo contesto sociale. Devo però anche rilevare come sia utopico pensare alla identità come un blocco psichico monolitico che comporti una immutabilità dell’individuo in ogni frangente esistenziale, anzi è segno di una buona evoluzione psichica poter contare elasticamente su varie estroflessioni del sé a seconda delle circostanze (sarebbe segno di spiacevole e paradossale rigidità psichica un modello di individuo che è identico mentre lavora, quando è a cena con gli amici o a contatto con i figli o quando fa l’amore con la propria compagna). La società ci impone, come dice Nietzsche, di indossare quotidianamente delle maschere, anche se poi il sociale solleva qualche perplessità quando, in un individuo, le varie parti dell’identità si presentano come troppo discordanti e disomogenee tra di loro nei vari frangenti. Nel suo caso potrebbe essere interessante un approfondimento delle tematiche di cui parla attraverso la lettura dei testi fondanti della psicoanalisi e filosofici(a riguardo possono essere consonanti gli scritti di Nietzsche e Schopenhauer ) allo scopo di approfondire le tematiche psichiche e filosofiche che sono alla base della identità.