buongiorno, ho 43 anni e da sette anni sono in analisi. la mia vita è un disastro e sicuramente in questi anni ho potuto fare delle scelte mie e realizzare delle cose (affrontare due traslochi e degli estenuanti lavori in casa, abbandonare un lavoro assurdo …) ma quello che mi angoscia è che ho l’impressione di aver fatto tutto da sola e con estrema disperazione; in realtà ho l’impressione di aver “utilizzato” il mio analista per ricreare il mio dramma e non come il mio complice. questo mi getta nella disperazione perchè pur riconoscendo il valore del lavoro che sto facendo, pur sentendo a me vicina l’analista…non posso non disperarmi per tutta la fatica fatta e il dolore, sono quasi impazzita e sicuramente un po lo sono, pazza, ma tutto questo mi ha spezzata di nuovo mi sembra. passo da una specie di normalità che non mi appartiene ad una disperazione ancora più grande di quella che conoscevo prima e vorrei ripercorrere il mio percorso con l’analista per capire cosa mi è successo da piccola perchè è esattamente quello che ho rivissuto in analisi ma poi mi trovo un muro di fronte sembra quasi che io debba rinunciare ancora una volta ad esprimere questo. mi chiedo se non sia il caso di lasciare questa persona ma l’idea di ricominciare un’analisi con un altro/a mi rende furiosa, e con lui non riesco a parlare di alcune cose. vorrei che qualcuno mi potesse dare una risposta ma tanto non è così e nessuno può conoscere quello che realmente mi è accaduto. ecco l’analisi mi ha reso ancora più confusa di prima. vorrei tornare indietro e essere andata tre volte a settimana dall’estetista negli ultimi 7 anni….almeno avrei la pelle liscia e ben depilata e niente rughe…tanto la psiche è a pezzi lo stesso. la prego mi dica se è normale vivere l’analista come un persecutore, io sono convinta che non mi voglia fare dire quello che è una vita che vorrei dire. io sento questo ma poi mi “devo” dire che è una resistenza ma così è facile…tutto una resistenza…. e quella dell’analista?