Gentile dottore, sono un uomo di circa trenta anni, finora non ho avuto grossi problemi ma dentro,ora, francamente, mi sento assai angosciato. Già alla fine delle scuole superiori mi ero fidanzato stabilmente e oggi penso che quella precocità fosse più un bisogno di ricevere amore che non soddisfare altri tipi di appagamento. Mio fratello maggiore è stato sempre preferito,anche se lui nega recisamente, era bravo negli studi,(come ci tenevano i miei..) mentre io ho sempre un po’vivacchiato. Sono andato a lavorare senza neanche provare l’università, però leggevo tanto,pensavo che i grandi scrittori avrebbero potuto come un orientarmi e dare un significato alla mia esistenza. Ho avuto paura costantemente della solitudine ( quella del buio l’ho persa che ero già abbastanza grande), e credo di averla mascherata cercando di stare il più possibile in mezzo alla gente. Dopo 8 anni la mia fidanzata storica mi ha lasciato dicendo le solite cose, che ero immaturo, che non volevo assumermi le responsabilità, che il nostro rapporto era esaurito e tutte le frasi che si dicono in quei momenti. Io non posso dire certo che l’amavo, ero piuttosto come attaccato a lei . In quei giorni ho avvertito dentro di me come quando si stacca la spina da una presa , sono stato depresso per qualche mese, poi gli amici e qualche viaggio verso mete erotiche (Cuba, Thailandia, Brasile), ove ho fatto esperienza del sesso puro senza implicazioni di cuore, mi hanno un pò stabilizzato. L’anno scorso ho conosciuto una nuova “lei”. Era un tipo energico, sembrava molto convinta di volere una storia con me , io lo ero un po’ meno, però sentivo che mi voleva , che ci teneva tanto e forse sono cascato nuovamente nella trappola dell’affetto. Nell’estate 2007 siamo andati per una settimana a Parigi, per quella che doveva essere una prova di convivenza, in quanto, al ritorno, avrei dovuto andare ad abitare da lei in un suo appartamento. In realtà non mi sentivo affatto entusiasta di quella prospettiva ma non volevo ascoltare le solite lamentele “non sei maturo, non crescerai mai…” Una mattina, poco dopo l’arrivo, eravamo in una piazza parigina famosa per la sua grandezza e ,mentre ero là in mezzo, ho cominciato a sentirmi strano, come se il mio corpo perdesse consistenza, la testa ha cominciato a girarmi, il cuore mi batteva all’impazzata, non mi rendevo più conto chi ero e dove ero, avevo il respiro affannoso, ho pensato ad un infarto e che di lì a poco sarei morto. Non so se sono svenuto ma ,dopo un pò, mi sono ritrovato su una panchina circondato da facce ansiose che mi guardavano e, tra tutte, ovviamente la più preoccupata era lei. Hanno chiamato un’ambulanza e mi sono ritrovato al pronto soccorso. Una serie di esami,per fortuna tutti negativi. Nel frattempo mi ero ripreso e ho detto ai medici che volevo andare via, anche se loro mi avevano consigliato di stare in osservazione. Ho chiesto cosa mi fosse accaduto e mi hanno detto che probabilmente si trattava di una crisi di panico. Mi hanno dimesso prescrivendomi dei farmaci (ansiolitici credo). Sono tornato in albergo ma non me la sentivo più di stare a Parigi e siamo tornati a casa il giorno dopo. Da allora la mia situazione psicologica è critica, sono tornato dai miei perché ovviamente non potevo certo iniziare una convivenza con la ragazza in quello stato, dopo poco sono tornato al lavoro, volevo rivedere i miei colleghi e quello mi sembrava un ambiente protetto, mi sentivo rassicurato. Sono andato quasi subito da uno psichiatra che mi ha spiegato che sono casi frequenti e mi ha rassicurato dicendomi che oggi abbiamo farmaci efficaci e maneggevoli i serotoninergici, (mi sembra si chiamino così) e me li mi ha prescritti. Li sto prendendo ma mi fanno un effetto strano, sento come se ci fosse una specie di velatura tra me e il mondo, mi sembra di provare una sorta di indifferenza a tutto ciò che accade e all’umanità che mi circonda. La richiesta di convivenza da parte di lei è passata naturalmente in secondo piano , i miei sono così premurosi e attenti nei miei confronti, mi stanno dando quell’affetto che non ho mai ricevuto. Tra me e me rifletto e mi chiedo se era necessario ammalarsi per avere benevolenza., in certi momenti penso addirittura che sto utilizzando la mia malattia come una specie di scudo protettivo verso il mondo e come forma di risarcimento per quello che non mi è stato dato. Lei però capirà perfettamente che questa è una situazione che posso accettare solo al momento, io mi chiedo quale sia il mio vero carattere e non mi va che venga alterato dai farmaci. Voglio uscirne e ho davvero un desiderio di capirmi a fondo, ho l’impressione di essere guidato da un mondo sommerso di cui non sono affatto a conoscenza. Penso che un ciclo di sedute di psicoanalisi potrebbe essere risolutivo, ma sono affascinato anche dalla ipnosi che potrebbe permettermi di entrare in contatto diretto con la mia parte profonda, lei che ne pensa? La saluto cordialmente e le sarò grato se vorrà rispondermi. S.L.
Fino dall’inizio della sua lettera si può intravedere come le carenze affettive a livello relazionale con le figure di riferimento possano aver inciso sul suo rapporto con l’oggetto. Lei stesso infatti riferisce che la storia con la ragazza,iniziata forse prima della maggiore età, nasceva da un bisogno di ricevere un affetto compensatorio piuttosto che dall’essere lei stesso soggetto d’amore, venendosi a creare quello che noi psicoanalisti chiamiamo rapporto anaclitico cioè supportivo, una relazione che è funzionale più ai bisogni di sicurezza che di piacere,cioè qualcosa che è definibile più in termini di attaccamento che di amore. Venuto meno quel rapporto con strascico depressivo che lei ha ben descritto con la metafora della spina staccata dalla presa di corrente,lei si è rianimato appoggiandosi al gruppo su cui ha proiettato le valenze affettive riservando quelle erotiche a giovani fanciulle incontrate in paesi noti per essere meta idonea a soddisfare quel tipo di bisogni. Il copione della prima relazione si è poi ripetuto con la seconda ragazza, forse più determinata o semplicemente permeata da idealizzazioni relazionali nei confronti del compagno. Ciò ha fatto sì che essa rimuovesse dentro di sè la vera essenza dell’uomo in cui i bisogni di ricevere erano assolutamente primari rispetto ad un rapporto nel quale avrebbe invece dovuto egli stesso fornire dei contributi e soddisfare i bisogni dell’altra. Inoltre è possibile che lo psichismo di colui che mi scrive sia interessato ad un tipo di rapporto con l’oggetto in cui la donna non deve allontanarsi troppo, perchè deve essere in grado di fornirle rifornimenti affettivi, ma nemmeno avvicinarsi troppo perché può attivare così la fantasia inconscia di essere inghiottito o divorato, vittima di immagini sadico-orali ancestrali. Probabilmente sono stati i sensi di colpa ad aver influito sul suo assenso ma la profonda indisponibilità alla convivenza è emersa nella crisi di panico agorafobico a Parigi(che probabilmente è stata preceduta però nella sua vita da altre fobie meno evidenti o compensate).Lo spazio ampio, cioè la grande piazza è stata la rappresentazione simbolica del vuoto affettivo che lei percepiva da parte della ragazza la quale,ai suoi occhi, con la richiesta di convivenza tendeva a pensare più alle proprie esigenze che ai bisogni veri del compagno. Inoltre l’insorgere della fobia e ciò che ne è seguito,lo hanno relegato nel ruolo di malato. Ciò le ha permesso, come lei osserva giustamente,un soddisfacimento profondo, precedentemente negatole, dei suoi bisogni affettivi da parte delle figure di riferimento e una possibilità di sottrarsi ad una convivenza che lei non avrebbe retto.I farmaci prescritti ,cioè i serotoninegici possono dare al paziente le sensazioni che lei ha ben descritto, ma hanno un effetto di presenza, non cambiano cioè la struttura psichica di base che solo un processo psicoanalitico profondo è in grado di garantire,sollevando il passato dalla rimozione e contribuendo al ricordo dei primi anni di vita con l’elaborazione delle problematiche connesse. Anche l’ipnosi è certamente in grado di farlo, ma,visto che l´urgenza sintomatologica è attualmente tacitata dalla terapia farmacologica, si può decidere eventualmente di sperimentarla in un momento successivo.