Caro dottore , ho letto la sua lunga risposta al signore di 56 anni sul tema della felicità esistenziale e vorrei che lei mi chiarisse degli interrogativi. Anche io sono più o meno un coetaneo e ho letto recentemente una ricerca valutativa sul benessere che sarebbe proprio di chi appartiene a questa fascia di età in quanto periodo della vita in cui i principali compiti sono stati assolti, in cui la dimensione lavorativa è ormai un problema archiviato, nella quale , in sintesi si raggiungerebbe quella serenità che invece quando siamo più giovani è inquinata appunto da questo tipo di disagi quali angosce lavorative crescita dei figli , problemi economici e quanto altro . Ora , le devo dire che non è quanto riscontro in me stesso . Se è vero che non percepisco più le ansie e i momenti di scoraggiamento di quando ero più giovane, devo però rilevare che la vita si è fatta come piatta, senza entusiasmi e che il tempo trascorre così senza dolore e senza piacere, anzi notando spesso un decadimento progressivo e intravedendo a volte sullo sfondo la fine del percorso. Allora mi chiedo se sia depresso e ho bisogno di terapia io oppure se questo è quello che si intende per serenità, cioè una vita in grigio senza colori accesi, senza grandi turbamenti ma anche senza piaceri evidenti. La saluto e la ringrazio se vorrà rispondermi.
Ho letto anche io quella ricerca fatta sulla serenità della terza età che tiene in considerazione, però, gli aspetti di realtà e di come il venir meno di problematiche reali possa dare quella serenità che gli anni precedenti tendono a negare. Se andiamo però ad esaminare le componenti psicologiche più intime, devo riconoscere gli stati mentali si alimentano di tematiche profonde e complesse che possono portare ai vissuti personali a cui lei fa cenno. La terza decade esistenziale o gli anni che le ruotano attorno sono anche il periodo del disincanto, dell´ esaurimento esperienziale , di una minor spinta libidica, di riduzione della pulsione vitale. I genetisti come Edoardo Boncinelli sostengono che la natura, che ha nella sua soggettività un fine esclusivamente riproduttivo, non fa altro che elaborare una serie di inganni, enfatizzando i desideri del giovane conferendogli speranze , illusioni, voglie progettuali, minore lucidità introspettiva affinchè non abbia spinte a demotivarsi quando è giovane e nel momento migliore per l’età riproduttiva. . Nella nostra società secolarizzata e fortemente edonistica la rimozione della morte è infatti un tema costante, gli individui,specie in età giovanile, costantemente accelerati da una pulsione intensa, non accettano le frustrazioni, dimenticando quanto esse siano un potente motore di crescita individuale. Non è sufficiente un tranquillo benessere, hanno bisogno di stati mentali eccitati e concitati. I desideri debbono essere subito soddisfatti, hanno smarrito la capacità di darsi un limite ed ecco allora echeggiare nella nostra mente come monito la frase di Aristotele “chi non conosce il suo limite tema il suo destino”. Non esiste più in loro intrapsichicamente il rapporto conflittuale tra ciò che si deve fare e ciò che non si deve fare, ma la tensione interna è fra ciò che sono capaci di fare e ciò che non riescono a fare . Ogni iniziativa umana è parametrata sul successo che può ottenere e dove non vi è successo vi è depressione come percezione del proprio fallimento esistenziale. E dove non basta la spinta biologica naturale ecco gli psicofarmaci che hanno lo scopo di di robottizzare la propria psiche,eliminando, o perlomeno riducendo, la percezione del vacuum e della angoscia per la propria mortalità, del senso di inutilità del vivere. Le sostanze attivanti permettono di creare stati mentali di esaltazione ed accelerazione psichica durante le ore lavorative . Esse vengono poi smorzati e anestetizzati spesso da sedativi , in quelle poche ore dedicate al riposo notturno che deve essere scevro di ansie affinchè, il giorno seguente, possa essere ripristinato il ritmo lavorativo con rinnovato vigore. Ora dirò qualcosa di generale sul tema della felicità umana. La sensazione di infelicità umana deriva probabilmente da ciò che un tempo abbiamo avuto e che ci è stato tolto. Nella narrazione mitologica il poeta greco Esiodo tra il VIII e il VII secolo a.C., descrivendo l´esistenza di una mitica età dell´oro, posta all´inizio dei tempi, nell´era di Cronos. Là gli uomini, commensali degli dèi, vivevano in pace, liberi da ogni fatica e al riparo da ogni pericolo, nutriti dalla generosa terra che procurava loro ciò di cui avevano bisogno. Il furto del fuoco ad opera di Prometeo segnò la caduta dell´uomo; alla aurea aetas seguì una lenta e progressiva corruzione della storia e – conseguentemente – della razza umana nelle quattro ere successive: dell´argento, del bronzo, degli eroi (nascita della mitologia) e del ferro. Il mito venne ripreso da Platone nella descrizione del regno di Cronos (Il politico), i cui fondamenti erano la giustizia, la pace e l´assenza di proprietà. Sono quelle sensazioni che hanno un ricollegamento mitologico nelle varie culture, per esempio nel Simposio di Platone , ove Zeus fa dell’uomo un lacerato sempre anelante a ricongiungersi con l’altro per vivere in esso la sua metà nascosta e divisa . Dall’analisi dell’inconscio sembra poter dedurre che questi vissuti sono la riproduzione di stati mentali sperimentati nei primi mesi di vita, durante il rapporto simbiotico con la madre in cui il piccolo sperimenta una indifferenziazione tra il sé e il mondo esterno e viene percepito quel “sentimento oceanico” di cui parla il poeta Romain Rolland. Tutti noi aneliamo all’unità, aspiriamo a rivivere e a soddisfare quella che viene percepita come beatitudine e onnipotenza.del sé, quello stato di completezza, quel sentimento fusionale che ci accompagnerà,nostalgicamente, per tutta l’esistenza: vengono in mente situazioni di innamoramento o di passionalità, momenti di compenetrazione orgasmica o gli stati mentali di una madre connessi al momento procreativo :hanno la caratteristica tutti di avere una durata più o meno breve anche se sono caratterizzati da una intensità psichica decisamente notevole, e li potremmo inquadrare come momenti di assaggio dell’immortalità. Se questo è ciò che intendiamo con felicità allora, data la estrema rarità con cui essa si presenta, possiamo dire che, fondamentalmente, la felicità non abita questo mondo. Il problema che abbiamo noi umani deriva proprio da quella stessa evoluzione psichica che ha permesso i progressi dell’umanità. La nostra autocoscienza, cioè la capacità di pensare il nostro pensiero è quella che, da una parte ci apre al senso ma che contemporaneamente è il luogo dell’implosione di ogni senso . Non possiamo essere felici come invece lo può essere un animale che dimostra beatitudine nel mangiare, dormire, saltare . L’autoconsapevolezza che porta con sè la coscienza della nostra finitezza, si scontra con il nostro desiderio perenne di immortalità ed è la radice della infelicità umana. Il problema della angoscia esistenziale è comunque un tema già profondamente sentito dagli antichi Greci i quali , come dice Nietzsche, hanno avuto il coraggio di “guardare in faccia il dolore e di conoscere e sentire i terrori e l’atrocità dell’esistenza”. Essi hanno percepito la tragicità dell’esistenza nella contrapposizione tra le esigenze della natura e le aspirazioni del singolo. Le leggi di natura dicono infatti che ogni singola esistenza deve morire affinché si generino nuove vite, le quali prendono il posto delle precedenti in una circolarità della vita e della morte. Il singolo invece grida ad alta voce la sua voglia di vivere e rifiuta questo passaggio di testimone. Il Greco elabora risposte attive alla ineluttabilità della morte, sostenendo che non bisogna illudersi e nemmeno rassegnarsi ma conoscere (màthesis)perché il sapere evita il male evitabile.Il concetto greco di “aretè” che è l’equivalente della “virtus” latina esprime infatti la capacità di eccellere, di essere il migliore,però vivendo e conoscendo il proprio limite (katà mètron), cioè con atteggiamento di saggezza (phrònesis). Gnothi seauton, conosci te stesso, è scritto sul tempio di Delfi, conosci le tue caratteristiche, la tua inclinazione, il tuo demone e arriverai alla eudaimonia che in greco significa felicità , che vedrei più propriamente assimilabile alla pace illuminata dal benessere . La scuola stoica sosteneva che il dolore è legato alle passioni e il loro motto substine ed abstine è un invito a sopportare l´intolleranza, frutto di passione altrui e ad astenersi dall´intemperanza, frutto della propria passione, facendo prevalere la razionalità . Gli stoici sono assertori delle virtù dell´autocontrollo e del distacco dalle cose terrene, portate all´estremo nell´ideale dell´atarassia, come mezzi per raggiungere l´integrità morale e intellettuale. Nell´ideale stoico, è il dominio sulle passioni che permette allo spirito il raggiungimento della saggezza. Per Epicuro la conoscenza delle cose crea lo stato di felicità. Nella sua vita naturale l´uomo allontana da sé il dolore sia fisico (aponia) che psichico (atarassia) e l´assenza di queste due cause porta al raggiungimento della felicità. Ma non è sufficiente: Epicuro sostiene che si deve provare piacere e quindi classifica i piaceri dividendoli in tre grandi categorie: I piaceri naturali e necessari, come: l´amicizia, la libertà, il riparo, il cibo, l´amore, il vestirsi, le cure ecc. I piaceri naturali ma non del tutto necessari come: l´abbondanza, il lusso, case enormi oltre il necessario, cibi raffinati ed in abbondanza oltre il necessario.I piaceri del tutto accessori, come il successo, il potere, la gloria, la fama .La filosofia buddista sostiene analogamente che il dolore è un vuoto, una mancanza che porta alla ricerca della soddisfazione di desideri di ciò che è provvisorio, che è continua ed ininterrotta poichè appena un desiderio è soddisfatto ne nasce uno nuovo,ancora più grande. in un susseguirsi senza sosta per cui rinunciare ai desideri significa rinunciare a una inutile sofferenza. Quindi solo quando avremo abbandonato gli attaccamenti per cose e persone, scompariranno ansie, angosce, depressioni e tutti i sentimenti spiacevoli che la nostra entità psicosomatica può produrre e sarà possibile sperimentare l´emancipazione dalla sofferenza esistenziale. Per raggiungere l’obiettivo molto importante è per il buddista dedicarsi alla Meditazione, che comporta un´energica disciplina ascetica (yoga) : in questo caso il rimedio non consiste in una sollecitazione verso la razionalità o l’autocontrollo, ma nella soddisfazione della pulsione erotica all’interno del sé con un riscatto dell’onnipotenza originaria preoggettuale e fusionale. La visione Giudaico- Cristiana ripropone la cultura dell’onnipotenza- felicità la quale, essa sostiene, non può essere raggiunta in questo mondo ma può essere tuttavia raggiunta in un’altra dimensione. Viene svalutata la vita terrena sostenendo che essa è un transito,che il piacere è un bene effimero, che il dolore non è una condizione imprescindibile della esistenza, che esso è dovuto alla colpa del peccato originale da cui è possibile redimersi, che è anzi utile a fini espiativi,che è il fattore più potente che induce alla speranza e alla fede, che la vita futura, la vera vita, sarà senza dolore. Venendo alla sua lettera e alla “sua vita divenuta piatta e senza entusiasmi” sembra di capire che lei non creda ad una vita ultraterrena e che si stia confrontando col senso dell’esistenza hic et nunc. Le vorrei citare Epicuro quando sostiene che non dobbiamo aver paura della morte perché “quando ci siamo noi la morte non c’è e quando c’è la morte non ci siamo noi”.Tale pensiero filosofico è inattaccabile ma il nostro compito è quello di sconfiggere le metafore della morte che diventano marcate quando ci avviciniamo alla ultima parte della nostra esistenza. Allora ecco comparire i segni del decadimento fisico in uno sguardo lanciato furtivamente allo specchio o in forme di stanchezza prima sconosciute, ecco l’ombra della defaillance psichica nella dimenticanza del nome che proprio non ci vuole venire in mente .Ormai sono archiviati gli amori della giovinezza , l’estasi degli innamoramenti e ci ritroviamo intimamente soli.E’ importante allora coltivare veri e genuini sentimenti di amicizia e condivisione con l’altro, attraverso la cultura delle relazioni sociali e la riscoperta di un rapporto con il tempo dilatato e rallentato che possa darci il forte senso del presente, allontanandoci da tristi rievocazioni del periodo che fu e dalla visione di un futuro che il correre degli anni fa intravedere sempre più stretto e limitato. E se tutto questo non è sufficiente per dare consistenza al nostro esistere? Io credo che la Psicoanalisi possa essere di grande aiuto. La Psicoanalisi con Freud in sintonia con gli assunti filosofici dell’epoca, prima illuministi poi positivisti, riprende il tema della ragione come unico strumento per esplorare l’inconscio, per bonificarlo, sottraendoci così al dolore che deriva soprattutto dalla ignoranza delle parti nascoste del nostro sé.”Dove era l’Es deve subentrare l’Io”. Di nuovo è ripreso il tema , del nosce te ipsum conosci te stesso. Una volta assoggettato all’io, il nostro inconscio non potrà essere più fonte di dolore o sofferenza. Ma non è soltanto l’illuminazione dell’inconscio la fonte di gratificazione di un rapporto psicoanalitico. E’ anche la ricostruzione di un rapporto simbiotico fusionale con la madre bonificato da ansie angosce e depressioni e che ci allontana la sensazione di essere soli , separati e quindi mortali, attraverso la creazione di un transfert fiducioso e di una solida alleanza di lavoro. E’ questo che le consiglio trovando una persona con cui intraprendere questo percorso esistenziale che dia nuovamente spessore e consistenza al suo essere nel mondo