innanzitutto le espongo alcuni dati sul mio conto: ho trentotto anni; vivo da solo (ma tuttora mantenuto da mia madre) da diciannove anni; in passato ho sofferto a lungo di una depressione maggiore; dal 2000 al 2005 sono stato seguito da uno psichiatra/psicoterapeuta al quale non mi posso più rivolgere perché è molto anziano (purtroppo già durante la terapia “perdeva qualche colpo”) e ha recentemente avuto un ictus. Durante la psicoterapia assunsi psicofarmaci (prevalentemente clomipramina), mi fu diagnosticata una tendenza schizoide/schizofrenica (perdoni la grande imprecisione, ma non ricordo bene la diagnosi), e fu almeno in parte ricostruita la storia dei miei rapporti con i miei genitori: con mio padre (morto nel 1997), un rapporto difficile a partire dall’adolescenza per mutue incomprensioni e a causa del divorzio da mia madre; con mia madre, un rapporto difficile nella prima infanzia (quand’ero molto piccolo dei problemi di salute la rendevano nervosa e irascibile, poi quando avevo otto anni mi “abbandonò” per alcuni mesi a casa di sua madre). A quasi otto anni dalla fine della psicoterapia non ho ancora terminato gli studi universitari, non ho un lavoro né un’identità sociale e vivo quindi con un costante senso di emarginazione. Questo pesa naturalmente sui miei già difficili rapporti umani, in particolare con le ragazze/donne: già da bambino, a sette-otto anni, immaginavo che la bambina che mi piaceva avrebbe preferito un altro a me, e che mi sarei dovuto fare da parte; ho avuto due relazioni affettive, una ai tempi del liceo (tra il 1991 e il 1992) e una tra il 1998 e il 2000, entrambe terminate da me; sono stato molto innamorato due volte, non delle due ragazze assieme a cui sono stato, ma di due ragazze che non mi corrispondevano (ci sarebbe da fare una battuta alla Groucho Marx sul fatto che io non possa amare qualcuna disposta ad abbassarsi ad amare me), una mia compagna di scuola nel 1991, e una ex-amica a partire dal 2001, fino a quando non ho smesso di frequentarla pochi anni fa (nel 2008 credo). In particolare, il rapporto “sbilanciato” con quest’ultima (amore e gelosia in cambio di amicizia e distrazione), protratto negli anni, mi ha molto logorato. Per smettere di pensare a lei, nelle ore libere dallo studio universitario (procedente talmente a rilento da rendere i buoni risultati molto poco significativi) ho ripreso a studiare la chitarra, sempre nella solitudine del mio appartamento, comprando ossessivamente strumenti, accessori, metodi e perdendo progressivamente il gusto e il senso per quello che stavo facendo, fino a smettere da due anni, anche a causa di dolori fisici dovuti alla postura. Negli ultimi mesi, anche per l’intervento del moltiplicatore dell’ansia e della solitudine consistente nella perdita di quasi tutti i familiari più stretti, del ricovero in ospizio di mia nonna e delle molto mediocri condizioni di salute fisica e mentale di mia madre (i due soli veri familiari “stretti” per me), ho sentito impellente l’esigenza di uscire dalla solitudine in cui passo la quasi totalità delle mie giornate, trovando una compagna. Ma non si può dire che con questo abbia dato una svolta alla mia vita: penso “non ho una vita, non ho un’identità sociale, non ho un futuro (la situazione lavorativa è drammatica per persone molto più giovani e dotate di me), chi potrebbe volermi?” e concludo che sia meglio evitare inutili umiliazioni. Questi meccanismi sono abbastanza trasparenti ai miei occhi, ma non per questo riesco a sfuggirgli. Un altro meccanismo trasparente è quello per cui, fattane una molto superficiale (più per mia che per sua ritrosia) conoscenza, mi sono recentissimamente infatuato (dopo più di dieci anni) di una ragazza ventottenne (non troppo piccola, mi dico) che da un lato ha dei tratti “noti” e perciò rassicuranti, dall’altro degli elementi di fascino, come una voce molto bella e “educata” – mia madre lavorava con la voce, ha una dizione perfetta e da bambino me la correggeva sempre – e, infine e soprattutto, appare ai miei occhi come fuori dalla mia portata, perché fidanzata e indisponibile ad altro che una frequentazione occasionale in ambito universitario lei, e derelitto e senza prospettive io. L’ho vista quotidianamente per un paio di mesi, inizialmente salutandola appena, poi scambiandoci progressivamente qualche parola in più, anche qualche piccola chiacchiera, riuscendo con fatica (per il mio stato confusionale, che si accentua nei rapporti umani con persone che non mi siano molto intime) a darle un paio di piccolissimi aiuti per la sua tesi di laurea triennale. Lunedì scorso si è laureata, sono andato ad assistere alla discussione, ho conosciuto il suo ragazzo, lei mi ha salutato in modo che non riesco ad aggettivare se non con “carino”, e non ci siamo più incontrati, e non ci eravamo rivisti nella settimana precedente. Nei giorni scorsi lo stato di ottundimento (la sensazione di avere la testa piena di cotone o stoppa) si è accentuato, rendendomi molto difficile concentrarmi, e ho avuto continui sbalzi di umore, passando nel giro di una stessa ora dalla consapevolezza del meccanismo che era all’opera e del fatto che sono un adulto e lei è poco più che una sconosciuta, ad una cupa disperazione, con l’accentuazione della mia ripulsa (attrazione) per balaustre, cornicioni e altri luoghi elevati da cui si può cadere (ci si può gettare – abitualmente soffro di vertigini). Dopo tutto questo sproloquio, mi rendo conto di non poter ricevere da lei altro consiglio professionale che quello di iniziare un’altra terapia, cosa che al momento non posso fare (se un giorno avrò un lavoro, lo farò). Qualsiasi consiglio quanto ho scritto le possa suggerire, comunque, è ben accetto. Anzi, le sono grato anche solo di aver letto fino a questo punto. Ho comunque una domanda da porle, anche se temo che esorbiti dall’ambito delle conoscenze scientifiche: durante il parto, il medico che mi fece nascere mi estrasse dal grembo di mia madre afferrandomi per la testa con un forcipe, causandomi un’emorragia cerebrale. Pertanto dovetti essere tenuto in un’incubatrice per una decina di giorni. Può la separazione da mia madre nel periodo neonatale essere all’origine dei miei sofferti rapporti con le donne, della mia tendenza ad amare chi non mi ama, o devo pensare che l’origine sia in un altro degli eventi traumatici che segnarono il mio rapporto con lei nella mia infanzia?La ringrazio molto per la sua disponibilità,Matteo Caro Matteo un trauma alla nascita si sarebbe subito presentato in termini di danni psiconeurologici con ripercussione sui primi atti fisiologici e non solo in età adulta con problematiche di tipo psichico anche importanti. E’ più probabile che si tratti di rapporti alterati e conflittuali con le figure di riferimento, cioè situazioni di tipo ambientale che sarebbe importante sviscerare in modo esaustivo.Ti saluto cordialmente. Antonio